martedì 15 ottobre 2019

Che cosa significa fare vera poesia (di Sergio Scisciot)

E’ bello, soddisfacente, legittimo stendere sulla carta bianca che attende docile i sensi del proprio cuore emozionale. Dirlo!
Spesso, tuttavia, si formula un discorso in prosa che dovrebbe apparire poesia perché la frase è tagliata e resta quel tale tratto bianco a destra della pagina…
Spesso ciò che si è scritto è una semplice pagina di diario, una notazione come tante, c’è un forte sentimento, una breve preghiera rivolta a Dio o alla Vergine: non è poesia.
Il “poeta” si è soffermato su di un caso particolare, su una situazione, su una bella cosa che ha visto e ha voluto dirla così come l’ha sentita,calda calda, sensibilmente precisa (sin troppo!) ed è rimasta una situazione particolare che non dice altro al di fuori di essere descritta.
Perciò mai rimanere al bozzetto (cosa molto difficile a realizzarsi nel modo migliore) mai usare parole tecniche, specifiche, mai dire di fatti di cronaca vicina, mai parlare di cose vicinissime alla vita di tutti i giorni; il lontano, il remoto, l’ombroso, l’incerto, diceva Leopardi, fanno già molta poesia.
Bisogna oltrepassare la situazione da cui si parte e farle dire tante altre cose. E non con parole alate ed eccezionali, ma il più possibile semplici e pur capaci di suggerire al lettore una marea di sensazioni ed emozioni che egli si aspettava. Scatenare nel lettore, oltre il testo, un suo ipertesto. Tanto da fargli esclamare: “Ma come ha fatto a dirlo!”
Pensa alla poesia “Pianefforte ‘e notte” . Semplicità. Eppure il fascino è in certe parole: “notte”, “luntanamente”, o “na musica se sente” – ma quale? è l’indeterminato che affascina – “suspirà”: tocco magico: non è la musica che sospira ma è l’animo solitario dell’autore che vorrebbe sentire cantare una “bella voce” per sollevare il suo cuore. Ma “sulitario e lento more ‘o mutivo antico”: fascino delle cose lontane, oh quanti ricordi! Il poeta non lo dice, ma lo scatena nei cuori dei suoi lettori.
E tutto si fa più scuro nell’ oscurità di un cuore solitario, di una notte stellata.
Il poeta ha parlato tanto di sé parlando di un motivo che viene da lontano; ha confessato le nostalgie e i segreti oscuri della sua vita e noi siamo con lui.
O meglio viviamo la nostalgia pungente di lontananze sfumate, viviamo l’angoscia che ognuno prova di fronte a cose tropo belle. Ecco l’effetto della poesia che ha superato tutti i motivi descrittivi.
Eliminando quello che è un particolare banale (che a te sembra chissà che) cominci ad essere lirico quando cerchi d’inserire quel dettaglio nel mondo intero di cui fa parte, nell’universo di tutto ciò che gli è vicino, analogo, somigliante, carico di echi.
E perciò devi dare a quella tal cosa che stai scrivendo un privilegio di suggerimenti e di allusioni che la sola notazione sensibile non può dare. Allora potrai cercare parole che parlano di più di quello che dicono, se sono inserite in un contesto libero ed emotivo e ti avvicini al linguaggio lirico che sa dire ciò che la prosa non sa fare perché non è emotiva, è “prosastica”, riferisce soltanto. E tu, poeta, leggi molto dei veri poeti, impara, osserva e lima, correggi, riscrivi, ma sappi che, dietro la vera e forte poesia, c’è e ci deve essere tanta cultura che sostanzia e sostiene, ma che alla fine non compare. Quindi fuggi il particolare che rimane tale, la nota, la curiosità che vorrebbe colpire. Cerca di capire che un dettaglio è il segno di tante cose e si ricollega a tante altre dell’intero universo.
Dì cose semplici, ma dì tutto l’impossibile, quello che proprio alla poesia è permesso di dire e alla prosa no.
Rifuggi dai bozzetti sulle vecchie situazioni napoletane, sociali e familiari, perché mai fanno sorridere. Evita le manierizzazioni trite della mentalità napoletanesca. Sono cose vecchie e umili: non fanno poesia.
Sergio Scisciot
Sergio Scisciot
NOTA BIOGRAFIA DI SERGIO SCISCIOT
Sergio Scisciot, napoletano di nascita, ha realizzato la sua vocazione di pensatore servendo la scuola e lo stato per quarant'anni, in qualità di insegnante di Storia e Filosofia presso il Liceo Classico "Sannazzaro" di Napoli.
Traversando la sua esperienza umana, nonché logico-critica, sul versante della poesia ha dato vita e pubblicato pregevoli e premiate raccolte, come "A metà del guado" (Ferraro editore), "Parete nord" (Loffredo editore) e "A quattro mani" (De Frede editore), passando poi a temi di vasto respiro cosmico-religioso in "Sinfonia della luce" e "Luce dalla notte" (entrambi edite da De Frede). Tempra positiva e fortemente cristiana ha rivisitato i temi della filosofia metafisica greca nell'originale saggio "Un Napoletano parmenideo" (Loffredo editore), coniugando la loquace salacità mediterranea col mondo classico. E' anche autore di testi di narrativa, in cui unisce una estrema eleganza formale alla sua profonda passione per la montagna e i temi etico-esistenziali, che si riconducono alla corrente della "ecologia del profondo". Si ricorda in particolare "Atmosfere" (Loffredo editore), "In Dolomiti un'estate" (De Frede editore) e "Metafore" (grauseditore).
Fonte articolo QUI



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